Mentre infuriano le polemiche politiche e i conflitti istituzionali, un libro può essere anche un buon rifugio. Questo mi ha colpito fin dalla prima frase, su cui mi sono fermata pensando: Che faccio, continuo o lascio perdere, almeno per ora?
“Mia madre è morta lunedì 7 aprile nella casa di riposo dell’ospedale di Pontoise, dove l’avevo portata due anni fa”: è questo l’incipit di Una donna, il libro autobiografico di Annie Ernaux (L’Orma editore) che ho scelto impulsivamente in una bella libreria molto particolare di Milano, che consiglio a chi può di visitare, la Open di viale Monte Nero.
Una copertina particolarmente bella nella sua sobrietà grafica quasi austera, una carta che mi piace toccare e poi questa grande autrice, di cui avevo sentito parlare per aver vinto il Premio Yourcenar (la scrittrice che io amo pù di tutte in assoluto!): tutti elementi che sicuramente mi hanno spinto a comprare senza pensarci due volte questo splendido libro.
Non sono qui per farne una recensione, non ne sarei capace, vorrei invece scrivere (se ci riuscirò) ciò che ha provocato in me come semplice lettrice, niente di più e già questo mi sembra arduo.
Ovviamente non mi sono fermata all’incipit e ho deciso di condividere con lei il difficile percorso della memoria di sua madre, che ritrovava quella donna nel suo immaginario, ma l’intenzione del libro è chiara ed esplicita:
“Vorrei cogliere anche la donna che è esistita al di fuori di me, la donna reale… Il mio progetto, continua, è di natura letteraria, poiché si tratta di cercare una verità su mia madre che può essere raggiunta solo attraverso le parole” e più avanti (a pag. 40) una dichiarazione che mi commuove: “Ora mi sembra di scrivere su mia madre per, a mia volta, metterla al mondo”.
Durante la lettura, non riuscivo a fare a meno di confrontare continuamente la donna di cui la scrittrice parla con la donna che è stata mia madre: le differenze tra loro, il diverso carattere e la provenienza sociale, una vita differente tra queste due donne. Eppure leggendo questa ricostruzione “tra Storia e affetto”, riemergevano spesso numerosi flashback, la memoria e il ricordo di mia madre si sono popolati di vecchie immagini, situazioni vissute, atteggiamenti e stati d’animo che sembravano destinati all’oblio. Alcuni ricordi sono per me particolarmente dolorosi, altri per fortuna invece ricchi di luce e di sorrisi, sono tornati vivi nella mia memoria alcuni dettagli tragici insieme ad altri divertenti e teneri: una lettura per me quasi provocante, ad ogni pagina, a momenti paragrafo per paragrafo, una lettura scorrevole che però mi ha costretto spesso a ritornare indietro per fermarmi a pensare…
Per esempio, suggerite dal testo, mi sono fatta delle domande, mi sono chiesta che infanzia ha vissuto mia madre, ultima di nove figli, se aveva avuto una cameretta o divideva il suo spazio con le sorelle maggiori, se a lei facevano indossare i vestiti smessi delle sue sorelle, come andava a scuola e poi ancora tante altre. A me ha raccontato pochi frammenti della sua vita in collegio, dove era stata con la sorella Maria per alcuni anni lontana da casa (proprio come me!), a Bologna in via Galliera. E sul significato (Galliera, galera…) di questo nome scherzava spesso! Un giorno mi raccontò ridendo che lei cercava di colorarsi le labbra di nascosto con i petali dei gerani, con grande disapprovazione delle suore che vedevano per lei un futuro da “donna perduta“…
Questo libro si legge immergendosi totalmente nella sua scrittura, limpida e lucida, chiara e senza giri di parole, da cui traspare un dolore profondo, quello che non si esaurisce con il pianto, il dolore di chi sa e scrive (per imporre davanti a sé la realtà dell’assenza): “Non sarà più in nessun luogo del mondo”.
Mia madre morì nell’inverno del 2010 e da allora sono trascorsi otto anni, non mi servono le fotografie per ricordarla, mi piacerebbe invece poter ritornare indietro nel tempo per conoscerla meglio, per fare a lei le domande che oggi rimangono senza risposta. “Dei suoi desideri non so nulla” scrive Annie Ernaux e io penso come lei di trovarmi nella medesima situazione.
C’è una pagina del libro, dove la scrittrice elenca le immagini così come le tornano in mente, dei flash di sua madre ancora giovane, quando camminava in riva al mare o andava periodicamente in chiesa, cosa faceva durante un pranzo e via avanti così. Ed io mentalmente ho fatto la stessa operazione, riesumare dall’oscurità tanti momenti della vita di mia madre, cercando di non darmi spiegazioni di senso, solo lasciandoli fluire così come venivano a galla.
La rivedo sul ballatoio di casa china ad innaffiare le sue piante, mentre approfitta per fare una pausa dai lavori casalinghi e fumarsi anche una sigaretta, la sento nella sua perenne insicurezza mentre chiede sempre a mio padre un parere o il consenso, per qualcosa da fare o da non fare, gioisco della sua gioia di uscire di casa per una passeggiata e per dare uno sguardo alle vetrine dei negozi, rientrando contenta di qualche nuovo acquisto, la rivedo ancora nel tinello di casa seduta al tavolo tondo con la nonna (sua madre) che parla di tanti argomenti, che legge avidamente i giornali che mio padre le comprava, sento stringermi in un abbraccio forte, quasi disperato, quando sto per partire (dalla stazione di Foggia) per andare in collegio a Milano (decisione di mio padre) e con disagio rivivo quello strano senso di “estraneità” quando ritornavo finalmente a casa, dopo mesi di lontananza. Per me uno strappo dolorosissimo, forse il sacrificio più grande della mia vita. “Per anni, scrive Annie Ernaux, con lei ho avuto soltanto dei ritorni”: sembra quasi che stia parlando anche di me.
Oggi, sulla scia delle parole del libro, guardo anch’io gli oggetti che mia madre mi ha lasciato, belli e cari dal punto di vista affettivo, ma ogni sguardo rimarca la sua assenza, mi ricorda la sua preoccupazione per me sempre china sui libri, mi vedeva come un’intellettuale e non era consapevole invece che lei aveva, come mia sorella Gabriella, una dote straordinaria: sapeva essere leggera e profonda nello stesso tempo senza un briciolo di arroganza, riusciva a cogliere sfumature impercettibili senza farle mai pesare, anzi a volte soffrendo molto per questa sua acuta sensibilità: “Le piaceva più dare, a tutti, che ricevere” scrive in seguito Annie Ernaux di sua madre e forse questa potrebbe essere stata una delle cause della lunga vita di sofferenza anche di mia madre.
“Non ascolterò più la sua voce”… termina il libro, ma io continuo la mia lettura, continuo a condividere questa operazione di verità, lo sforzo di ridisegnare il ritratto di una donna a cui si è legati più di ogni altra persona al mondo.
“Le piaceva più dare a tutti, che ricevere” è proprio vero:la dolce Bice era così. Quante cose vorremmo conoscere dell’infanzia dei nostri genitori che, visti i tempi di guerra, erano restii a raccontare. Ad esempio mio padre non ha mai speso un parola della sua guerra e della sua prigionia…comunque l’orologio continua a battere il tempo che trascorre ma loro, i nostri genitori, sono vivi in quel mondo dei ricordi che ci aiutano ad andare avanti, nonostante tutto.
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È per questo che è importante scrivere anche di noi, non per vanagloria o per metterci in mostra (a chi, poi…?), ma per lasciare generosamente traccia di una vita. Il tempo scorre in fretta e tant8 episodi che possono sembrare banali e svontati, acquistano spessore col tempo, invecchiando…
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E’ un libro a dir poco splendido!
Complimenti per il post
Adriana
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Grazie, non mi è stato facile, mi ha coinvolta completamente!
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Grazie per il consiglio
Non lo conoscevo..li cerco!!
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Non te ne pentirai, di sicuro!
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Tante emozioni in questo tuo post,pieno si ricordi.
Grazie!
Cara, grazie a te!
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