“Ciò che non può danzare sul bordo delle labbra / va a urlare in fondo all’anima…”.

La citazione è di Christian Bobin, un autore che ho scoperto da qualche tempo.
È esattamente ciò che da qualche tempo sta succedendo a me.
Ospito al mio interno una sofferenza che chiede di essere riconosciuta e accolta, da me soprattutto, non sopporta un’accettazione passiva, vuole essere determinante nel cambiamento ormai in atto, è una sofferenza che nasce infatti dalla mia difficoltà quotidiana di non vedermi e di non essere più come “prima”, prima del tumore, “l’ospite inatteso e sgradito che si installa in casa tua. E ruba il tuo respiro il tuo tempo la tua voglia di vivere, le passioni e anche le indolenze”, come scrive Alessio Viola nell’articolo che pubblico in basso e che mi ha colpito perché finalmente si abbatte la retorica delle “guerriere”.
“Non guerriere, solo donne”, grazie Alessio!
Come combattere infatti quando manca l’energia fisica, quando il corpo brontola borbotta e fa male ad ogni sforzo e a tratti sembra che voglia abbandonarti? Allora anche l’umore si inabissa e a me accade ogni volta che devo rinunciare ad essere presente a momenti conviviali, che speravo di vivere con gli altri e non ritrovarmi “fuori dal mondo”, sempre più spesso ad ascoltare me stessa, i movimenti della mente e le fitte del dolore che abita in me. Il dolore di lasciar andare per sempre quella che non c’è più, facendo spazio alla consapevolezza che “si può vivere una vita normale nonostante tutto”, come scrive verso la conclusione del suo bell’articolo Alessio Viola, un giornalista (che è anche uno scrittore) del Corriere del Mezzogiorno, che conosco e ammiro non solo per la sua scrittura, ma per la coerenza tra ciò che è, ciò che pensa e scrive nei suoi editoriali e articoli.
La mia ricerca oggi è provare ad organizzare in modo nuovo una “normalità” completamente diversa da quella di “prima”, accettarla per procedere oltre.
Mi viene in aiuto ciò che scrive Peter Bichsel: “E’ possibile ascoltare bene (anche il proprio corpo, aggiungo io) solo quando si tollera di non capire”. Difficile sicuramente, ma forse non impossibile, tollerare di non capire, andare avanti e riconquistare quel sorriso che faceva bene agli altri e a me, un sorriso interiore che forse non è scomparso, si è solo temporaneamente inabissato per ricomparire ogni volta che ho davanti un foglio bianco e prendo i pennelli per dipingere a colori la mia vita.
Vorrei infatti – come scrive Alessio – “semplicemente riuscire a regalare felicità, nonostante il fottuto ospite”…

L’articolo pubblicato il 14 giugno 2019 sul Corriere del Mezzogiorno (ediz. pugliese)
Ecco il testo dell’articolo.
“Le donne sono tutte belle. Alcune anche di più. Le riconosci se fai attenzione ai dettagli del corpo e dello sguardo. Camminano facendo attenzione al mondo intorno, guardano cercando come un riflesso per rivedersi come erano prima. Indossano parrucche o foulard o cappelli a volte allegri altre così così, ma non come quelli di prima. Sono più attente a chi sta loro accanto, la premura di madri mogli sorelle fidanzate aumenta nei loro confronti molto più di prima.
Si fanno più dolci, più serie, qualche volta più tristi. Di una tristezza che non è più come quella di prima, quando era provocata dai fatti del vivere, dal lavoro gli amori la casa lo studio i figli.
“Prima” avevano la mente ingombra di problemi ma libera da “ospiti” che poi si sono installati nel loro corpo e hanno stabilito il loro quartier generale nella loro mente. Il tumore è così, l’ospite inatteso e sgradito che si installa in casa tua. E ruba il tuo respiro il tuo tempo la tua voglia di vivere, le passioni e anche le indolenze. Non sei più padrone dei tuoi pensieri, che è cosa più terribile del male stesso. Ma loro, le donne, si riflettono nello sguardo di chi le circonda e non si lasciano travolgere dal dolore. Cedono ogni tanto, certo. Ma un uomo colpito da un tumore sente come se tutto il mondo ormai fosse privo di senso, perché orbo della sua grande presenza. Il re deposto dai giacobini.
Le donne palpitano e si preoccupano per tutti, vorrebbero semplicemente riuscire a regalare felicità, nonostante il fottuto ospite. Niente di più lontano dalla retorica delle “guerriere”. Non combattono, non accettano un terreno che prevede comunque uno sconfitto, in una guerra è così. Si ostinano a cercare le normalità del vivere, fanno come i giapponesi che costruiscono case di carta contro il terremoto. Le case di carta delle donne si chiamano consapevolezza, solidarietà, sorellanza. E anche allegria voglia di vivere di ostinarsi a “fare la lavatrice” per le montagne di roba sporca degli uomini di casa. Di preparare parmigiane bollentissime in piena estate. E sorridere, ogni volta che è possibile.
Il sorriso delle donne con il tumore potrebbero raccontarlo solo i grandi pittori rinascimentali, la vena malinconica gli occhi che brillano di leggero, quel velo umido che non si lacera, quella promessa di esserci sempre. Non guerriere, solo donne. Che scoprono e si incontrano con la normalità del mondo di chi le cura. E neanche lì ci sono medici “eroi” o taumaturghi ma solo normali uomini di scienza che fanno il loro lavoro al massimo delle loro possibilità. E certo sì, non tutti e non sempre, come dappertutto. E c’è anche il primarione che si fa pagare, come no, e chi pratica terapie inutili, non è un paradiso, è la sanità di un paese che viene mandata avanti da gente straordinariamente normale nonostante tutto. E gli infermieri, e gli amministrativi sono ragazze e ragazzi fantastici, che si prendono cura delle persone prima ancora del malato. E allora le donne trovano la forza di organizzarsi, di creare legami, quello che sanno fare meglio.

La locandina dell’evento a cui avrei voluto partecipare.
E le associazioni crescono, si ritrovano e partecipano ad una giornata come “OPEN VITA, l’arte di vivere oltre il cancro”, organizzata dall’istituto tumori Giovanni Paolo II che oggi in Ateneo, nel salone degli affreschi, per tutto il giorno racconterà questa normalità. Tante associazioni, da quelle storiche alle più giovani come Walce Puglia, unite oltre le sigle su un programma semplice: organizzare la normalità della vita di chi è malata di cancro. Una parola che incomincia a non far più paura alle donne, hanno imparato che si può batterlo, fermarlo, rallentarlo. Che si può vivere una vita normale nonostante tutto.
Dal servizio di psiconcologia alle iniziative del centro antifumo, ai workshop sulla cura della bellezza alle parrucche alla moda, dall’abbigliamento alla gastronomia e a un concerto dal vivo di medici e amministratori, a tutto il quotidiano: una giornata che aperta a tutti dovrebbe riportare fra le cose del vivere la malattia, che si può controllare e sconfiggere. Una festa, perché no.
Niente è più bello di un sorriso di donna. Oggi è una festa del sorriso e della bellezza, della voglia di vivere e di essere felici. Chiedere quello che sembrava impossibile oggi è un esercizio di realismo. Di cui tutti dobbiamo essere grati alle nostre bellissime donne.
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